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da La Ricerca, Numero 5/2013 “Malati per gioco una nuova emergenza”

NELLA NOSTRA PROVINCIA GRUPPI DI SOSTEGNO CON L’ARCO E LA RICERCA IN AFFIANCAMENTO AL SERT
di Alessandra Bassi*
Devono affrontare problemi enormi, ma non chiedono aiuto per vergogna e per timore del giudizio degli altri; talvolta cercano di proteggere i propri familiari più anziani dal dolore, altre volte pensano che il problema sia superato e che non sia il caso di mettere in cattiva luce il giocatore d’azzardo.

Quando diventa una dipendenza, il gioco d’azzardo invade la vita. Come tutte le dipendenze.
Quando è eccessivo o problematico il gioco d’azzardo ha conseguenze pesanti sulla vita dei familiari del giocatore. Come per tutti i comportamenti eccessivi? Probabilmente i riflessi sulle famiglie dei giocatori d’azzardo sono maggiori che nelle altre dipendenze per vari motivi, e l’aspetto economico è quello più evidente.
Nella cura dei giocatori d’azzardo patologici il coinvolgimento e il lavoro con i familiari è centrale: i familiari sono di solito i primi a decidere che è arrivato il momento di affrontare il problema; nel corso del programma terapeutico il controllo del denaro è l’unico indicatore reale del buon andamento della cura e i familiari ne detengono la gestione.
Per la terapia del giocatore l’appoggio dei suoi familiari è indispensabile: se non collaborano alla cura, il paziente ha molte meno chances di farcela, ma il fatto che i familiari vengano immediatamente investiti del ruolo terapeutico spesso impedisce loro di cercare spazi per sè e per ricevere l’aiuto necessario ad elaborare emotivamente ciò che hanno vissuto e ciò che devono ancora sostenere.
Le tipologie di familiari sono molto variegate: i giocatori hanno età diverse e quindi i familiari possono essere i loro genitori (giovani o anziani) oppure i coniugi e i figli (bambini, adolescenti oppure adulti), i fratelli e le sorelle.
Hanno caratteristiche differenti eppure condividono la stessa disperazione.
Le ricadute sono molto probabili e, anche se per i giocatori possono essere addirittura utili, perchè permettono una valutazione più realistica della propria dipendenza, per i familiari sono terribili.

I familiari dei giocatori problematici devono affrontare problemi enormi, soffrire per anni e sopportare una serie di fatiche spesso senza ricevere un supporto adeguato, per una serie di motivi diversi: non chiedono aiuto per vergogna e per timore del giudizio degli altri; talvolta cercano di proteggere i propri familiari più anziani dal dolore e dalla preoccupazione (“se mia madre/mio suocero sapesse che cosa sta succedendo, starebbe troppo male…”), altre volte pensano che il problema sia superato e che non sia il caso di mettere in cattiva luce il giocatore d’azzardo. I familiari dei giocatori non chiedono aiuto perchè non saprebbero che cosa chiedere, è tutto così strano e incomprensibile nella storia che stanno vivendo che non sanno neanche come raccontarlo.
I gruppi per familiari costituiscono un’opportunità molto efficace per accompagnare la terapia dei giocatori patologici e per sostenere i familiari.
I gruppi per familiari GAP (Giocatori d’azzardo patologico) della cooperativa L’Arco e dell’associazione La Ricerca sono stati proposti nel 2012 a familiari maggiorenni di giocatori d’azzardo in carico al Ser.T di Levante e Ponente: mariti, mogli, genitori, figli o altre figure di riferimento coinvolte in modo significativo e bisognose di sostegno.
I percorsi sono stati sostenuti in parte dallo SVEP, che ha finanziato il primo progetto, dall’Associazione La Ricerca, dalla cooperativa sociale L’Arco e dal Ser.T di Levante e Ponente, che ha supervisionato tutto il percorso e ne ha finanziato una parte.
Sono stati attivati due percorsi di sei incontri ciascuno e nonostante durante i primi incontri quasi tutti i partecipanti avessero dichiarato di non aver molta voglia di essere lì e avessero espresso di aver solo bisogno di indicazioni sul comportamento da tenere con il familiare giocatore, già dal secondo incontro sono emersi contenuti relativi ai vissuti e alle difficoltà personali che hanno quindi portato il gruppo (e noi facilitatrici) a dare attenzione agli aspetti emotivi e quindi a focalizzarsi sulle risorse dei partecipanti.
Ogni volta che ve n’è stata la possibilità i partecipanti hanno sfruttato il gruppo come cassa di risonanza e di confronto, utilizzando l’esperienza degli altri per rielaborare la propria; hanno incontrato persone che avevano fatto esperienze simili alle loro e quindi potevano capirli, ma che avevano anche affrontato in modi diversi le situazioni e quindi potevano aiutarli a trovare nuove idee e nuovi punti di vista.
Hanno costantemente cercato di sperimentare i suggerimenti avuti dal gruppo e ne hanno tratto riflessioni sia nel caso abbiano funzionato, sia nel caso che non l’abbiano fatto.
Il percorso del gruppo ha portato alla condivisione di una serie di vissuti familiari problematici e faticosi: sono stati espressi con cautela e con una certa esitazione e si sono invece rivelati come comuni e condivisi.

*Referente dei gruppi famiglie giocatori d’azzardo per la cooperativa sociale L’Arco, insieme a Fausta Fagnoni dell’associazione La Ricerca Onlus

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